La Vita di Gemma
«Amore vuole amore; fuoco vuole fuoco». Sono parole di una modesta fanciulla, piccola borghese, nata in provincia dal dott. Enrico Galgani, farmacista del paese, a Camigliano.
Apparenze più che normali, banali, dietro le quali si nasconde una santa straordinaria: una mistica in continuo, affettuoso colloquio con Gesù; una contemplativa che prega con la semplicità di un fanciullo e la penetrazione di un teologo; che supera, sorridendo, le difficoltà più terribili, lasciandosi semplicemente guidare dal suo Angelo Custode. Un’anima candida che, fin da bambina, annota sui quadernucci di scuola i pensieri e le preghiere di ogni giorno, col proposito di una vita sempre più immacolata.
Parla con il suo Angelo Custode e gli dà anche incarichi delicati, come quello di recapitare a Roma la corrispondenza con il suo direttore spirituale. «La lettera, appena terminata, la do all’Angelo – ella scrive –. È qui accanto a me che aspetta». E le lettere, misteriosamente, giungevano a destinazione senza passare attraverso le Poste del Regno.
Presto Gemma rimane orfana, quasi abbandonata, nella più squallida miseria.Malata, si riduce in fin di vita, ma viene sanata miracolosamente. La chiamano, nella Città cinta dalle mura alberate, «la ragazzina della grazia». Presto si viene a sapere che i suoi guanti neri e il suo abito scuro e accollato nascondono i sigilli della Passione. Queste stigmate si aprono, dolorose e sanguinanti, ogni settimana, la vigilia del venerdì.
Accolta come una figlia in una casa devota e agiata, quella del cav. Matteo Giannini, vi conduce vita ritirata, tra casa e chiesa. Ma le strepitose manifestazioni della sua santità superano le mura della casa borghese. Opera conversioni, predice avvenimenti, cade in estasi. In preghiera, suda sangue; sul suo corpo, oltre ai segni dei chiodi, appaiono le piaghe della flagellazione.
Davanti a lei gli scienziati non riescono a nascondere il loro imbarazzo. Perfino qualche direttore spirituale non sa come giudicare la straordinaria fanciulla: la sospettano di mistificazione, parlano d’isterismo o di suggestione, chiedono prove, esigono obbedienza.
Soltanto lei, Gemma Galgani, in mezzo ai dolori fisici e alle prove morali, non dice nulla, o meglio, dice sempre sì. Non chiede nulla, o meglio, chiede a Gesù, per sé, più dolore, ancora dolore, sempre più dolore. E, per gli altri, chiede la conversione e la salvezza.
Era un sabato santo, nell’anno 1903, quando Gemma Galgani moriva, a 25 anni, divorata dal male, ma chiedendo, fino all’ultimo, ancora dolore.
Apparenze più che normali, banali, dietro le quali si nasconde una santa straordinaria: una mistica in continuo, affettuoso colloquio con Gesù; una contemplativa che prega con la semplicità di un fanciullo e la penetrazione di un teologo; che supera, sorridendo, le difficoltà più terribili, lasciandosi semplicemente guidare dal suo Angelo Custode. Un’anima candida che, fin da bambina, annota sui quadernucci di scuola i pensieri e le preghiere di ogni giorno, col proposito di una vita sempre più immacolata.
Parla con il suo Angelo Custode e gli dà anche incarichi delicati, come quello di recapitare a Roma la corrispondenza con il suo direttore spirituale. «La lettera, appena terminata, la do all’Angelo – ella scrive –. È qui accanto a me che aspetta». E le lettere, misteriosamente, giungevano a destinazione senza passare attraverso le Poste del Regno.
Presto Gemma rimane orfana, quasi abbandonata, nella più squallida miseria.Malata, si riduce in fin di vita, ma viene sanata miracolosamente. La chiamano, nella Città cinta dalle mura alberate, «la ragazzina della grazia». Presto si viene a sapere che i suoi guanti neri e il suo abito scuro e accollato nascondono i sigilli della Passione. Queste stigmate si aprono, dolorose e sanguinanti, ogni settimana, la vigilia del venerdì.
Accolta come una figlia in una casa devota e agiata, quella del cav. Matteo Giannini, vi conduce vita ritirata, tra casa e chiesa. Ma le strepitose manifestazioni della sua santità superano le mura della casa borghese. Opera conversioni, predice avvenimenti, cade in estasi. In preghiera, suda sangue; sul suo corpo, oltre ai segni dei chiodi, appaiono le piaghe della flagellazione.
Davanti a lei gli scienziati non riescono a nascondere il loro imbarazzo. Perfino qualche direttore spirituale non sa come giudicare la straordinaria fanciulla: la sospettano di mistificazione, parlano d’isterismo o di suggestione, chiedono prove, esigono obbedienza.
Soltanto lei, Gemma Galgani, in mezzo ai dolori fisici e alle prove morali, non dice nulla, o meglio, dice sempre sì. Non chiede nulla, o meglio, chiede a Gesù, per sé, più dolore, ancora dolore, sempre più dolore. E, per gli altri, chiede la conversione e la salvezza.
Era un sabato santo, nell’anno 1903, quando Gemma Galgani moriva, a 25 anni, divorata dal male, ma chiedendo, fino all’ultimo, ancora dolore.
Piero Bargellini da «I Santi del giorno»